sabato 31 maggio 2008

Stefanie Golisch

Funamboli

I racconti di Fabrizio Centofanti


Non sono salvi.

Ma trovano nei racconti di Fabrizio Centofanti una dimora. Fragile e precaria com’è nella natura della letteratura che è fatta di parole e di suoni, di allusioni e intuiti.

Li chiama con il loro nome - Antonio, Agatino, Mario, Anna - questi uomini e donne al margine della società. Coloro che non ce l’hanno fatta in un mondo spietato che perdona piuttosto il crimine che l’insuccesso.

Guardare dove la maggior parte distoglie lo sguardo per ridare la dignità a chi l’ha persa, sembra essere il programma di questi racconti che portano il lettore direttamente nel cuore di una realtà che, a prima vista, di letterario ha ben poco.

Non sono personaggi attraenti che al mondo hanno qualcosa da raccontare o insegnare, al contrario: il loro messaggio è la difficoltà di vivere, il fallimento di piani e progetti, sogni e attese. Sono uomini e donne deboli, ma uomini e donne in cui ci si può comunque riconoscere.

E questo è proprio il merito della scrittura precisa e attenta di Fabrizio Centofanti.

Sarebbe stato facilissimo, proprio davanti a un tale proposito, sbagliare tono. Diventare dolciastro o lacrimoso. Compatire questi poveracci dall’alto al basso, dalla posizione di chi è, al contrario loro, salvo e sapiente.

Ma la scrittura di Centofanti ci fa capire l’esatto contrario: non possiamo non riconoscerci nella loro delusione e nei loro fallimenti. La possibilità tragicamente mancata - o spensieratamente giocata - non è il contrario della possibilità realizzata, ma nel quadro completo della vita umana sono un’unità indissolubile.

L’uno non è pensabile senza l’altro. Il nostro equilibrio personale, che è l’equilibrio del mondo intero, è fragile - e sulla fune non si gioca soltanto il destino del funambolo.

Il racconto Come un film parla proprio di questo scambio di ruoli e di destini. L’attore Mario, un uomo che dopo una grande delusione amorosa perde la sua stabilità psichica, abbandonandosi all’alcol, porta lo stesso nome del parroco don Mario che lo accoglie in casa sua, cercando invano di trovare una soluzione per i problemi dell’altro.

L’alcolizzato nel letto che il prete gli ha ceduto o al telefono, fingendosi il suo benefattore: i due Mario non sono la stessa persona, ma certamente portano l’altro in sé; come una delle infinite possibilità di cui l’uomo è il contenitore.

Fallimento e successo non come due poli estremi, assoluti, ma come l’abissale danza del funambolo che in ogni momento è nel pericolo di perdere il suo equilibrio.

Come se fosse necessario, nella logica del mondo, c’è chi cade e c’è chi si salva. Ovviamente non è la stessa cosa, ma il vincitore e il vinto sarebbero impensabili senza la loro battaglia continua.

Non si può sfuggire dallo sguardo dell’altro: così come il suo trionfo, anche la sua miseria è, intimamente, la tua.