mercoledì 18 giugno 2008

Ramona Corrado

Ho letto qualche giorno fa questo libro.
E poi l’ho riletto, con calma e attenzione.
La prima volta l’ho bevuto, la seconda l’ho assaporato.
Poi l’ho ripreso ancora in mano. Colpita ed emozionata.

È un libricino piccolo, quasi tascabile, vestito di uno splendido sole giallo griffato Van Gogh (Seminatore col sole che tramonta, Vincent Van Gogh, 1888), che sembra fatto apposta per infondere ottimismo e speranza. Nonostante.
È un libricino dal costo contenuto, appena 9 euro, quasi non osasse chiedere di più per pudore… costa niente in confronto ai nomi più o meno altisonanti riposti sugli scaffali delle librerie.
Ma io non l’ho comprato.
L’ho avuto in dono.
Con un gesto straordinariamente gentile me lo ha regalato l’autore, don Fabrizio Centofanti, anticipando la mia volontà di ordinarlo online.
Ringrazio ancora il Fabry, come lo chiamano gli amici, per avere pensato a me.
Mi piace pensare, con una leggera presunzione, che questo dono sia dovuto alla nostra vicinanza di pensieri e situazioni, alla condivisione di esperienze di vita difficile, che, sia pure in campi diversi, io nella sanità, lui nel sociale e nel quotidiano parrocchiale, ci accomuna. Entrambi abbiamo infatti contatti ravvicinati con l’umanità derelitta, io malata nel corpo, lui nell’anima. E spesso una delle due cose non esclude l’altra.

Conosco da poco il Fabry, e nemmeno di persona.
È stato lui a cercarmi, un giorno, a dire seguimi.
Dove?, gli ho chiesto.
Dentro LA POESIA E LO SPIRITO (LPELS).
E perché proprio io?
Perché sei come sei, è stata, più o meno, la risposta.
Come un Gesù pescatore di uomini, il Fabry ama pescare chi più gli sembra propenso a condividere il suo progetto di cambiare il mondo con l’amore, la bellezza e la poesia.
Ero incredula. Cosa mai potevo fare io in una cerchia di persone dal così alto valore intellettuale e culturale?
Me lo sto ancora chiedendo. Ma il Fabry non se lo chiede, a lui davvero vado bene come sono.

Don Fabrizio è un uomo colto, amante della letteratura, della poesia e della musica. Uno che scrive, anche. Ma don Fabrizio è anche un prete di strada. Uno che da quando ha indossato la tonaca la usa e la consuma nella discesa infinita dentro i tanti gironi di quell’inferno chiamato vita.
Uno che si rimbocca le maniche, che si mette al servizio degli altri, tanto più quando sono deboli, maltrattati e discriminati.
Un prete che fa il prete, che non si limita a indicare la via, ma la percorre per primo.
Un prete che scrive e veste di sole un piccolo libretto di speranza.

Questo libricino che ha per vestito un enorme sole giallo, s’intitola GUIDA PRATICA ALL’ETERNITA’, Racconti tra cielo e terra.
Tecnicamente è, appunto, una raccolta di racconti. Ma come per incanto ogni racconto è anche un ritratto, una confessione o una riflessione. Un’occasione per sguazzarci dentro, come ho fatto io, affascinata da sempre dai racconti di vita vissuta, specie quando questa è dura e fa male.
Non so se sono masochista… è che sono convinta che solo confrontandosi con il dolore altrui si sminuisce il proprio. È guardandoci intorno che possiamo dire, ma sì, in fondo, c’è chi sta peggio, e allora possiamo provarne compassione, dimenticando il nostro stesso egoismo.
E al tempo stesso possiamo consolare i nostri timori: nessuno è mai veramente solo, qualcuno è sempre al fianco di qualcun altro. Nemmeno i più disgraziati, i più derelitti, i più abbandonati, sono soli. Qualcuno che lotta anche per loro c’è, senza paura di esporsi in prima persona, e ci sembra impossibile che questo avvenga nel cinico mondo che ci ospita.
Testimonianze come queste non possono, in ultima, che incoraggiarci a fare qualcosa anche noi, nel nostro piccolo, per rendere migliore il nostro tempo.
Piccoli eroi quotidiani, anonimi, ma indispensabili.

Nel libricino vestito di sole il Fabry ha messo molto di sé e delle persone che ha conosciuto grazie al suo mestiere di prete di strada. Persone specialissime. Disadattati, alcolizzati, tossicodipendenti. I rifiuti della società, abbandonati lungo i margini, come la monnezza di Napoli. Sono loro quelli che più hanno bisogno di un aiuto o di un amico, e anche se non te lo diranno mai, anche se ti rendono la vita difficile, accettano in qualche modo di essere aiutati.

Nelle parole racchiuse nel libricino dal vestito giallo di speranza, si legge pietà per queste persone, comprensione, solidarietà, talvolta rabbia, ma sempre il desiderio di aiutarle e mai una critica alle loro scelte. Seguendo così un filo conduttore, un esempio a cui il Fabry ha attinto a piene mani. L’esempio di un altro prete, pure lui di strada, un prete sui generis dalle poche parole, molte sigarette e moltissimi fatti. È stato lui a indirizzare l’anima sbandata di un giovane all’epoca alle prese con un dolore immenso e inconfessabile. È stato lui a insegnare a quel giovane a tendere le mani per dare e non per chiedere, e a mettere a disposizione la propria vita per quella degli altri. E non solo in senso figurato.
Don Mario Torregrossa infatti è stato realmente vittima di un folle che gli ha appiccato fuoco, lasciandolo a combattere a lungo tra la vita e la morte, fino a rimanere invalido per sempre.


La figura di quest’uomo straordinario, ancora prima che sacerdote, ricorre spesso nella narrazione di Fabry. Umanamente, come un ritornello senza fine e senza un perché.

E come un ricordo doloroso e ricorrente racconta, quasi a cercare ancora di farsene una ragione, di come fu lui a soccorrere don Mario dopo l’attentato. E poi la lunga pazza corsa verso l’ospedale, con il bisogno segreto di bestemmiare senza poterlo fare (“Trasportando don Mario in ospedale lo vedevo tremare, e pensavo che una bestemmia in questi casi non può essere peccato. Avevo torto, ma il vuoto mi spingeva sui versanti sconosciuti di un dolore feroce, insostenibile, con lo stesso colore del sangue e dei semafori che intimavano l’alt e che io non potevo rispettare, come tutto il resto, se non il suo corpo martoriato, che tremava.” La bestemmia soffocata). E ancora l’angosciosa attesa e le preghiere e il disperato bisogno di credere alle previsioni di un veggente o presunto tale che assicura “si salverà”.

Nelle parole di questo libricino, esile ma pieno di fiducia, ci sono i protagonisti, estratti da un’umanità dolente e terribilmente autentica.
C’è l’attore che diventa alcolizzato dopo che gli muore la bellissima compagna russa, (“….capace di trasformare in sogno le ore della sera, al punto che non capiva come prima si potesse accontentare di quella cosa che chiamava vita. Facevano presto a ritrovasi avvinghiati l’uno all’altra, come se Mario avesse paura che il sogno gli sfuggisse, che un genio cattivo, geloso della sua gioia, gli strappasse dalle braccia il più bel film della sua vita. E così fu.Come un film.). Bugiardo e infingardo, apatico e indisponente, sempre sbronzo, prende il letto che il parroco gli offre, in canonica, e non lo lascia fino alla morte.
C’è l’arrivista che brucia la propria vita in un attimo, come un vulcano (“Nella vita avrebbe fatto qualcosa di grande, come l’Etna, che torreggiava sulle strade del suo paesone”. Vulcani).
C’è il tossico che le escogita proprio tutte per sfruttare gli altri, soprattutto i preti, senza rinunciare alla roba (“Sui preti ci puoi sempre contare, non c’è nessuno che si faccia infinocchiare come loro.” Canonica Paradiso) e rubare un posto in canonica, e magari in paradiso.
C’è la prostituta che domanda aiuto con umiltà e disperazione, per il figlio tossico che nessuno vuole curare, e il suo bisogno di aiuto è uguale al bisogno di tutti (“Anna ci chiedeva di aiutare il figlio, e ricordavo l’aiuto che avrei voluto anch’io quando tutto era crollato. Ci sono giorni in cui il tempo è sospeso sul desiderio d’impuntarsi, di dire no alla macchina infernale che ti stritola; […] e perfino la notte ti compatisce con gli occhi spalancati delle stelleCome stai?)
E c’è anche la suora terribile pronta allo scontro, ma che poi si ammala di tumore e diventa dolcissima e paziente, tanto da far capire, con la sua storia, che “…le rabbie e i sogni di noi umani sono un pugno di polvere lanciato verso il cielo, in attesa dell’inevitabile caduta.” (Polvere)
E altri ancora.

Ma nelle parole graffianti di questo libricino dalla veste galla c’è anche il calvario di don Mario e la crescita interiore di un ragazzo dalla vita vuota e difficile (Mani e Pugili allo specchio). E forse proprio queste sono le storie che personalmente mi hanno catturata più di ogni altra. Mi succede sempre, quando le adatto alla persona che le ha scritte e che conosco, perchè entro, in questo modo, nel suo intimo più inviolato. E mi sforzo di farlo inpuntadipiedi, con rispetto…

Nelle pagine di questo piccolo libro c’è la voglia di bestemmiare, ma anche il ringraziamento a Dio, c’è la passione per l’uomo come essere divino e miserabile, ma anche quella per l’omelia e il mistero della Messa.
In queste pagine, insomma, ci sono dei racconti, che non sono solo racconti da leggere, ma vita da bere.
La scrittura secca e allo stesso tempo poetica del Fabry, rende facile la lettura. Facile la riflessione, facile l’immedesimazione, facile l’emozione e il desiderio di conoscere da vicino una persona speciale come il Fabry, prete di strada, scrittore dell’anima.