giovedì 26 giugno 2008

Paolo Cacciolati

Ho poco da aggiungere, rispetto a chi mi ha preceduto, sui racconti che compongono questa raccolta di Fabrizio.

Io leggo, leggo questo libro arrivato a casa mia per vie non solo postali, leggo molte altre cose, forse troppe cose, e mentre leggo faccio una fatica (quasi sempre) bestiale a recuperare un senso, anzi il senso, delle pagine aperte davanti a me. Tutto (o quasi) mi sembra inutile, già letto e già detto. Tranne in qualche caso. Uno di questi è il libro di Fabrizio. Limpido, nella predisposizione alla ricerca di eternità, come suggerisce il titolo, ma eternità per chi? per i protagonisti dei racconti? per i lettori? e per l'autore? Chi è Fabrizio Centofanti? E' un prete? E' uno scrittore? E' uno che combatte ogni giorno contro tremendi mulini a vento? O è semplicemente un uomo, come tutti noi, che cerca anche per sè, oltre che per gli altri, una via per l'eternità? Ecco, vorrei mettere l'accento su quest'ultimo punto, perchè mi piace leggere questo libro non tanto come una raccolta di racconti, quanto come una specie di romanzo di formazione, composto sì da tanti episodi, da tante particelle diverse che sono le persone e le storie di cui ci parla, ma che alla fine si riassemblano in un unico mosaico il cui disegno complessivo è dato dalla tensione dell'autore verso il proprio, lo sottolineo, il proprio, percorso per l'eternità. Percorso condiviso, comune, ecumenico, tutto quello che vogliamo, ma secondo me prima di tutto suo, nella sua unicità di uomo, come tutti noi. E proprio qui sta il bello, perchè altrimenti, se leggessi questo libro "solo" come una testimonianza e non come una dolorosa ma necessaria bildungsroman (ecco, l'ho scritto, chè quando si parla di romanzo di formazione mica uno può esimersi dall'usare cotanto parolone), faticherei ad avvertire la pacifica potenza della scrittura di Fabrizio, a decifrare quella corrente sotterranea che attraversa l'anima dei protagonisti di queste storie.

Un supporto a questa lettura, me lo fornisce lo stesso Fabrizio quando, presentando il libro, dichiara:"prima si raffigurava Dio come un grande occhio in un triangolo, si voleva dire che siamo sempre sotto controllo, anche quando nessuno ci vede. Secondo me, bisognerebbe invece raffigurare Dio con l’immagine dell’orecchio: è uno al quale puoi finalmente raccontare la tua storia, uno che ti ascolta, e ascoltandoti guarisce le tue ferite. Il giudizio finale me lo immagino così: un grande libro di racconti, in cui non c’è più nessuno che ti giudica, ma solo un orecchio attento e partecipe, che cura i tuoi traumi, e libera finalmente le tue energie. La verità, insomma, sarebbe ancora una volta nel rovescio delle cose."

Non a caso, secondo me, Fabrizio ha scelto di riportare questa immagine dell'ascolto, quasi che chiedesse al lettore di "sostituirsi", nel suo piccolo, per l'istante della lettura, all'orecchio divino. Spero di non esser stato blasfemo, in quello che ho appena scritto, ma non mi pare di passare per eretico o dissacrante nel dire che questo libro e coloro che lo leggono consentono all'autore di trovare un medium terreno nell'ascolto della propria ricerca di eternità, anche tramite queste storie degli ultimi.

Per il resto, non ho molto altro da aggiungere alle bellissime cose che sono già state scritte su questa Guida pratica all'eternità.

Aggiungo solo che avrei visto bene in prima pagina, oltre all'introduzione di Remo Bassini, questa citazione dai Pensieri di Pascal:"Quando considero la brevità della mia vita, inghiottita com'è nell'eternità che la precede e che la seguirà, lo spazio minuscolo che io occupo e che è a me visibile, gettato come sono in una vasta infinità di spazi di cui non so nulla e che nulla sanno di me, mi spavento e mi stupisco di trovarmi qui anzichè là, e ora anzichè allora. Chi mi ha posto qui? Per ordine di chi e in virtù di quale destino guida mi è stato assegnato questo tempo, questo luogo?"

Insomma, in queste parole di Pascal io ravviso una formidabile chiave di lettura per questa guida all'eternità.